Il progetto #cApReTz, che apre le porte del nostro locale all’arte in tutte le sue forme, si avvia con la mostra di Vincenzo Lipari, le cui opere fanno bella mostra sulle pareti della sala principale.
Vincenzo Lipari nasce a Camporeale, il primo giugno del ’66. Poco dopo il grande sisma di Belice, con la famiglia si trasferisce in Toscana, sulla costa.
Sbocciato al sole della Sicilia e cullato dai venti di Libeccio, il suo genio artistico radica sul verde secco della macchia tirrenica e sui pini marittimi. Scultura in terracotta, tela ed acrilico diventano i suoi strumenti e mezzi d’espressione. Partecipa a diverse mostre collettive e concorsi ed alcuni dei suoi lavori si guadagnano posti d’onore in ricercate collezioni private. Molti dei suoi affascinanti esercizi d’arte, restano all’ombra silenziosa dei muri, nascosti nel suo laboratorio di Rosignano Marittimo.
Era il ’68 e c’era stato il terremoto a Santa Margherita Belice. Una sera d’estate, tra le tende dell’accampamento a Piana degli Albanesi fu teso un telo bianco. Bianco e grande da rompere il nero inespressivo della notte.
Proiettavano un film. Colori e forme d’evasione composta, un sospiro di sollievo per lo spirito.
Lui che era un bambino, scoprì nelle immagini di quell’enorme quadro, l’emozione dirompente e positiva dell’arte. In una confusa catarsi di geometrie fluide ed esaltazione estetica del vero.
Alieno alla volatilità cruda ed ai violenti messaggi dell’arte contemporanea, Lipari lima la sua opera tra eleganti esplosioni barocche e delicate curve classiche, canalizzando lo sforzo emotivo dell’essere in un gioco di eccessi, liriche di colore e frivole eruzioni di bellezza.
Lo spazio dell’opera ospita allora, tutto l’estro dello spirito, pettinato nei suoi spigoli più oscuri dalla palese volontà di esprimersi a generare stupore, piacere ed allegro sublime, diletto.
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